Tra un anno che finisce e un altro che inizia

Cosa scelgo? E perché lo scelgo?
Due domande per ripartire nel nuovo anno, con coraggio, sguardo aperto, chiarezza e in accordo con noi stessi. 

C’è una pagina nel romanzo Digiunare, divorare di Anita Desai che attira la mia attenzione. Uma guarda il fratello Arun che ha appena ricevuto la lettera di ammissione ad un’Università negli Stati Uniti, un traguardo importante per un ragazzo indiano che deve farsi strada nella vita, dedicando tutte le sue energie a studiare per poi trovare un lavoro prestigioso. La sorella, ritirata dai genitori dalla scuola dopo qualche anno perché quello che a lei viene richiesto è invece di diventare una brava moglie, guarda il fratello cercando sul suo viso una qualche espressione. Ma non vi trova nulla: “Tutti quegli anni di fatiche scolastiche avevano logorato i dettagli dei lineamenti di un tempo, lasciando solo l’essenziale: naso, occhi, bocca, orecchie. Ma le labbra erano serrate, il naso incredibilmente appiattito e gli occhi schermati da spesse lenti che quegli studi forsennati avevano reso necessario. Non c’era altro, neppure l’ombra di un sorriso, di un broncio, una risata – erano stati repressi fino a scomparire. E adesso quella faccia inespressiva fissava la lettera e affrontava l’ennesima fase della sua vita disegnata da papà.” Mentre lo osserva, Uma si chiede cosa mai avrebbe potuto aspettarsi se non questa espressione “con cui Arun bambino e adolescente aveva macinato centinaia di giornalini – racconti d’avventura e di magia, storie di delitti, passioni, intrepide e divertenti -, lasciando che gli inondassero la mente e affondassero in quel profondo pozzo di grigiore che era la sua esistenza reale. Ora Uma frugava in quel pozzo in cerca di brandelli di carta colorata ancora affioranti, ma si erano inabissati senza lasciare traccia. A volte la coglieva un desiderio sfrenato di sollevare quella superficie vischiosa, di far affiorare qualche chiazza di colore, se non nella sua vita, almeno in quella altrui

Mi piace molto questa immagine che Anita Desai ci offre: noi come un pozzo, che contiene colori infiniti. Profondità, ricchezza, desideri e motivazioni che possono però ridursi a brandelli, fino a scomparire nel grigiore di vite represse e determinate da altri. Colori meravigliosi che rischiano di perdersi in una melma vischiosa che come un tappo blocca l’energia e lo scorrere di acqua fresca che sgorga dalle nostre profondità ed è ricca di sostanze nutritive. Per noi e per gli altri. 

E sperando che Arun possa far riemergere e rimettere in movimento i suoi brandelli di colori, e mentre questo 2020 volge al termine, voglio vivere questo passaggio come un tempo per guardare e ricercare i colori dentro al mio pozzo.

Quali sono le sorgenti del mio pozzo? Quali colori contiene? Hanno lo spazio sufficiente per irrorare i terreni tutto intorno per far crescere piante e fiori meravigliosi? Sono soffocati da qualche sostanza o melma vischiosa? Come posso prendermi cura del mio pozzo, mantenerlo pulito, nutrirlo e lasciar liberi i miei desideri, le miei aspirazioni perché si trasformino in scelte e in azioni? 

Nel silenzio denso di questa fine 2020 di pandemia, una delle cose che sicuramente possiamo fare è andare alla ricerca, nelle nostre profondità, dei nostri bisogni, delle energie che sono all’origine delle nostre azioni
 

Possiamo seguire quel desiderio sfrenato che sente Uma di sollevare quella superficie vischiosa, per far affiorare qualche chiazza di colore. 
 
Trovo nel libro Le parole sono finestre (oppure muri) di Marshall B. Rosenberg un esercizio che mi sembra possa portarmi in luoghi interessanti. Lo propongo qui, sperando possa essere stimolante anche per te che stai leggendo queste mie parole. 
 
Si tratta di tradurre tutti i miei “devo” in “scelgo” per ritrovare i valori importanti, i bisogni che stanno dietro alle mie azioni.  
 
Primo passo: Fare un elenco di tutte le cose che mi dico che devo fare, tutte le attività che detesto ma che faccio lo stesso perché mi sembra di non avere scelta. 
Secondo passo: Dopo aver finito l’elenco, riconoscere chiaramente a me stessa che faccio tutte queste azioni non perché sono costretta ma perché scelgo di farle. Scrivere le parole “scelgo di …” prima di ognuno dei punti dell’elenco.
Terzo passo: Dopo aver riconosciuto che scelgo di fare una particolare azione, mi metto in relazione con l’intenzione dietro la mia scelta e completo la frase “scelgo di… perché voglio…” 
 
Quando mi capita di fare questo esercizio, mi vedo davanti ad una divisione che mi sono creata tutta da me e che consiste nel dividere in modo abbastanza netto le azioni che voglio fare da quelle che non voglio fare e che però mi sento che “vanno fatte”, che “ci si aspetta da me che le faccia”.  Noto che ho delle resistenze ad incominciare l’elenco, perché mi dico che ci sono una serie di cose che, anche se non mi piacciono, purtroppo sono da fare e che è troppo comodo fare solo quello che piace. Fosse così, chi sparecchierebbe più, chi porterebbe giù la spazzatura, chi andrebbe a lavorare quando in ufficio ci sono delle complicazioni?  
Ho anche delle resistenze perché mi dico che, se poi non trovo nessuna motivazione per me importante per fare determinate cose, beh, sarà ancora più difficile farle oppure dovrò fare delle scelte!  Mi dico che forse conviene tirar dritto e “portare pazienza”. Sotto a questi pensieri riconosco la paura di fare scelte di cui “potrei pentirmi” o per cui sarò giudicata male o per cui qualcuno rimarrà deluso. Mi dico: si, un conto sono le chiacchiere, un altro è la vita reale! 
E ci manca anche che i miei figli leggano questo esercizio e pensino che non ci sono più cose che “devono fare!”! Per carità, sarebbe la fine!” 
 Poi leggo questa frase: 


Sono certo che, se ci rendiamo conto con chiarezza dei bisogni che le nostre azioni soddisfano, esse diventano gioiose anche quando comportano molto sforzo, impegno e frustrazione.
(Marshall B. Rosenberg) 

Si, queste parole mi rassicurano e incoraggiano. Mi ero vista con un po’ di paura con un’accetta in mano a tagliare tutto ciò che non mi garba immediatamente, rischiando di eliminare rami ancora vivi a cui basta magari una potatina o un po’ d’acqua per riprendersi. 

Beh, intanto mi dico che posso prendermi tutto il tempo di cui ho bisogno, che è troppo importante per farlo di fretta. E solo il fatto di pensare questo, mi toglie l’accetta e mi mette piuttosto in mano un setaccio o una lente con cui riesco a vedere meglio cosa c’è. Mi aiuta ad uscire da quella divisione netta che mi sono costruita. E rallentando, vedo come dietro alcune azioni che considero noiose o “da fare” c’è, per esempio, la mia voglia di contribuire, di prendermi cura di qualcosa o qualcuno. Per esempio, scopro che, mentre butto la spazzatura, benché non sia l’attività che preferisco fare, e butto ogni sacco nel bidone corretto per la raccolta differenziata, sento di star contribuendo, insieme a tanti altri, ad un mondo più ecologico. Inoltre, sicuramente questa azione mi aiuta a soddisfare il mio bisogno di ordine attorno a me. E se mi collego a questo, la mia energia nel farlo cambia. E in più, ammettendo che comunque un po’ di fatica mi fa, chiedo a mio figlio di farlo insieme a me (mentre leggo tutto questo a mio figlio, lui mi guarda un po’ perplesso: Se ci trovo tutto questo senso nel farlo, perché a volte mando solo lui a buttare la spazzatura?).

Alla fine in molte cose che faccio, anche in quelle un po’ noiose, riscopro motivazioni, valori per me importanti o mi viene in mente qualcosa che potrei fare diversamene per ritrovare un senso e un piacere nel farle. Altre invece le scopro svuotate, scollegate dal mio mondo interiore. Per alcune c’è stato un tempo in cui avevano senso per me e ora l’hanno perduto, altre invece sono sempre state motivate da altro, dalla ricerca dell’approvazione esteriore o per evitare punizioni o vergogna o senso di colpa.

E allora posso scegliere di lasciarle.

Se vuoi approfondire la conoscenza della CNV, nella pagina dedicata trovi delle informazioni utili per orientarti.

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